Valle Maira: il viaggio dei sensi
Vedere non basta
Ho cominciato a esplorare la valle nel modo più sensato, partendo dall’imbocco e scoprendone un pezzetto alla volta. Come in un calendario dell’avvento, ogni giorno ho aperto una casella e ricevuto un regalo inaspettato: i corvi che giocano con il vento e si spingono oltre il salto nel vuoto della Freno Cuncunà, un cerbiatto che attraversa la strada e corre nel bosco, le ultime luci del sole che baciano San Martino, l’acqua che segna, si incanala e crea. Così facendo ho avuto una visuale ristretta e angolare rispetto a quello che mi circondava, ma questo mi ha permesso di essere più attenta ai dettagli, alle sfumature. Ho visto ogni singolo posto, ogni singolo paese, ogni valle laterale, nella sua unicità. Solo infine sono riuscita a mettere insieme i pezzetti e a creare nella mia testa una mappa armonica di tutta la valle: non una cartina che ne spiega la geografia, ma un disegno ben definito dove nulla è lasciato al caso, dove c’è sempre un legame fra la terra e le persone che la abitano, dove tutto ha perfettamente senso.
Ci ho messo qualche giorno a capire che per conoscere la Valle Maira devi percorrerla.
Devi lasciare la lunga strada del fondo valle e svoltare nella prima strada ripida che incontri, rallentare e cambiare le marce tornante dopo tornante fino a che arrivi in un punto dove puoi accostare, spegnere il motore, guardarti intorno e finalmente vedere le vette ancora innevate che prima si nascondevano ai tuoi occhi, i pascoli dorati bucati da piccoli fiori bianchi che annunciano l’arrivo della primavera. Ma non puoi fermarti ad osservare, devi immergerti in questo paesaggio. Vedere non basta. Devi battere con i piedi sui sentieri morbidi coperti da aghi di pino e iniziare a camminare, accelerare e infine correre. Fino a che l’ultima goccia di sudore si mischia alla pioggia.
Le melodie che non ti abbandonano mai
La Valle Maira non è solo gente, strade e borgate: è anche tutto il vuoto che separa i suoi elementi, il silenzio che c’è tra essi. Il silenzio che li separa e li unisce. Se chiudi gli occhi puoi sentirlo, il respiro di un posto che nonostante il cambiamento è rimasto quello che è, autentico nella sua essenza. Così come il silenzio, anche i suoni della Valle Maira prescindono dal tempo e raccontano la storia di chi non se ne è mai andato, di chi è arrivato e poi è rimasto. Di chi ha abbracciato e poi ha scelto.
Entro all’Ape Maira e mentre frugo tra gli scaffali pieni di succo di ribes e genepì, sento parlare da una parte all’altra del banco non in dialetto, ma in una lingua alle mie orecchie totalmente nuova ma che so essere antica: l’occitano. Le persone che la parlano non lo fanno per non farsi capire dai forestieri, da me, ma per comunicare a cosa si sentono di appartenere, cosa non vogliono dimenticare.
Ovunque vada le melodie della valle non mi abbandonano.
Sento le campane delle chiese che interrompono il silenzio della borgata. Sento il battere secco dello scalpello che incide la macina a pietra del vecchio mulino e l’acqua che scorre impetuosa fra le pale che girano. Sento i campanacci delle capre che brucando l’erba interrompono l’avanzare del bosco e che chiedono sacrificio ma offrono la possibilità di un nuovo vivere antico.
I sapori: dove le parole non arrivano
Nel processo di conoscere la valle, ho scoperto che quello che le persone non riescono a spiegare a parole, provano a comunicarlo con i sapori. Ed io che sono venuta qui per vedere, per ascoltare, non posso tirarmi indietro dal gustare la tradizione che si rinnova e che si influenza anche grazie a chi non è nato qui, ma adesso è a casa.
Il mio piatto si riempie ogni giorno di pietanze che spesso partono dagli stessi ingredienti, ma che si colorano di idee e stili diversi; la mia bocca viene appagata e confusa.
Sento il sapore del mare – anche se è lontano da qua – sento la pasta fatta con la farina del Mulino della Riviera, sento la panna, le cipolle, l’aglio, le castagne, la verza, la ricotta ancora calda. Sulla lingua sento parole che non capisco, ma di cui percepisco il significato.
Scoprire il passato con le proprie mani
Per scoprire qualcosa di nuovo attraverso il tatto bisogna tornare un po’ bambini: è un senso immediato, primordiale, che spesso non utilizziamo per andare nel profondo ma che mantiene all’esterno. Tuttavia, per avere un’esperienza completa, non si può prescindere da esso.
É strano come un gesto così immediato come il toccare, in Valle Maira mi ha riportato nel passato. Mi ha portata a chinarmi a terra e a sfiorare le coppelle incise 4000 anni fa sullo gneiss del Monte Roccerè e a interrogarmi sul come le mani di uomini e donne hanno lavorato per ore fino ad ottenere dei solchi che avevano lo scopo di affinare il loro spirito.
Un altro viaggio nel passato l’ho fatto a Elva, toccando i capelli delle donne che se li lasciavano tagliare dai caviè per allentare la presa della povertà. Ho immaginato cosa significasse girare con un fazzoletto in testa per nascondere il proprio sacrificio, ma anche cosa significasse perdere la vista a forza di separare e districare capelli per confezionare parrucche utilizzate nei ricchi salotti francesi.
Così ho imparato che il tatto può portarti laddove la vista non arriva. Nel passato, oltre la superficie che stai sfiorando.
Il respiro della Valle
Gli odori, più dei suoni, più delle immagini, si fissano nella mia memoria.
E lo fanno in modo inaspettato, inatteso: all’improvviso ti riportano dove eri. Così anche se non sono in Valle Maira basta poco per tornare nei posti che ho visitato. Mi basta sentire l’odore di capra, di cereali appena macinati, di birra artigianale spinata e mi ricordo esattamente il luogo, la persona collegata a quell’odore. Sento l’odore di pino cembro e mi ricordo i miei sonni tranquilli nelle locande. Sento l’odore elettrico dell’aria e mi ricordo la valle che mi respira e che mi vive intorno.
Oltre ai sensi
Le esperienze che arricchiscono la nostra vita non sono solo basate sulle sensazioni, ma anche sulle emozioni che proviamo e su quello che percepiamo ma che spesso facciamo fatica a spiegare. Il mio viaggio in Valle Maira è stato di certo un’esperienza sensoriale completa, ma anche molto di più di questo. Ho capito che lungo la valle non scorre solo un fiume ma un lungo filo invisibile che lega posti, persone, cose che all’apparenza non hanno nulla in comune.
É la voglia di rimanere veri, autentici, di non piegarsi, di cambiare ma non rovinare.
Di aprirsi, nonostante le strade della valle non sempre lo rendano facile. Ma del resto è proprio questa difficoltà che ha salvato la Valle Maira e che ha mi ha permesso di stupirmi lungo il mio viaggio.